lunedì 7 dicembre 2009

Mamma Roma, addio!


Negli anni cinquanta io me ne andai, come oggi i ragazzi vanno in India, vanno via, anch’io me ne andai nauseato, stanco da questa Roma del dopoguerra, io allora a vent’anni, mi trovavo di fronte a questa situazione, andai via da questa Roma anni 50.

E me andavo da quella Roma addormentata, da quella Roma puttanona, borghese, fascistoide, quella Roma del volemose bene, annamo avanti, quella Roma delle pizzerie, delle latterie, dei sali e tabacchi, degli erbaggi e frutta, quella Roma dei mostaccioli e caramelle, dei supplì, dei lupini, dei maritozzi colla panna, senza panna, delle mosciarelle

me andavo da quella Roma dei pizzicaroli, dei portieri, dei casini, dei casini, delle approssimazioni, degli imbrogli, degli appuntamenti ai quali non si arriva mai puntuali, dei pagamenti che non vengono effettuati, quella Roma dei funzionari dei ministeri, degli impiegati, dei bancari, quella Roma dove le domande erano sempre già chiuse, dove ce voleva ‘na raccomandazione

me andavo da quella Roma dei pisciatoi, dei vespasiani, delle fontanelle, degli ex-voto, quella Roma della circolare destra e della circolare sinistra, delle mille chiese, delle cattedrali fuori le mura, dentro le mura, quella Roma delle suore, dei frati, dei preti, dei gatti

me andavo da quella Roma degli attici colla vista, la Roma di piazza Bologna, di Via Veneto, di via Gregoriana, quella dannunziana, quella eterna, quella di giorno, quella di notte, quella turistica, la Roma dell’orchestrina a piazza Esedra, la Roma di Propaganda Fide, la Roma fascista di Piacentini

me andavo da quella Roma che ci invidiano tutti, la Roma caput mundi, del Colosseo, dei Fori imperiali, di piazza Venezia, dell’Altare della patria, dell’Università di Roma, quella Roma sempre col sole estate e inverno, quella Roma ch’è meglio di Milano

me andavo da quella Roma dove la gente orinava per le strade, quella Roma fetente e impiegatizia, dei mille bottegai, de Iannetti, di Gucci, di Ventrella, di Bulgari, di Schostal, di Carmignani, di Avegna, quella Roma dove non c’è lavoro, dove non c’è ‘na lira, quella Roma der còre de Roma

me andavo da quella Roma della Banca Commerciale Italiana, del Monte di Pietà, di …chi cazzo, di campo de’ Fiori, di Piazza Navona, quella Roma che c’hai ‘na sigaretta, e prestame cento lire, quella Roma del Coni, del Concorso ippico, quella Roma del Foro che portava e porta ancora il nome di Mussolini, me n’andavo da quella Roma di merda!

Mamma Roma! Addio.

Remo Remotti

7 commenti:

  1. ma... è cambiato qualcosa da allora? durante gli anni del governo della sinistra abbiamo avuto grandi speranze, e certo roma nelle apparenze è cambiata: via i borghetti, un embrione di metropolitana, la valorizzazione del centro storico, l'estate romana, le notti bianche... ma il fondo di cottura rimane sempre quello, le buone intenzioni si sono arenate, e alla prima occasione rieccolo qua. e ha premuto per tanto tempo, che ora si sfoga con più arroganza e insensibilità di prima.

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  2. Caro Marcoboh
    credo che la Roma cantilenosa descritta da Remotti tutto sommato non è molto diversa da quella di oggi (tranne l'arroganza cui ti riferisci). Il problema è che il resto del mondo ha avanzato. E noi rimaniamo lì a contemplare le bellezze del colosseo, inebetiti ed assuefatti.

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  3. c'è un nuovo ingrediente romano che forse non c'era all'epoca di Remotti: le cacche dei cani. E ho l'impressione che più i cani vivono in quartieri altolocati, con padroni altolocati e cibo altolocato, più i bisogni degli adorati quadrupedi inzaccherano abbondantemente la città.

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  4. D'accordissimo! del resto piú si mangia piú.......si digerisce! :)

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  5. Addio Remo! Roma Caput Mundi Te se ricorderà pé sempre!
    RIP

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